La fuga silenziosa dal Casentino: il 50% dei giovani ci dice "No"

I primi di novembre abbiamo letto, come tutti, i comunicati stampa usciti in merito allo studio condotto dal Centro Interdisciplinare «Health Science» della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in collaborazione con l’Osservatorio epidemiologico di ARS Toscana e Azienda USL Toscana sud est.


Un dato ci ha particolarmente colpito: se metà degli adolescenti è legata alla valle, l'altra metà non vede qui le condizioni per crescere. Una sfida diretta alla classe dirigente sul modello economico e sulle prospettive di futuro, aggravata dal rischio di nuove penalizzazioni per le aree montane.

In questo contesto, qual è il ruolo della politica locale?

L'urgenza di una valle che invecchia

Il Casentino è alle prese con un’emergenza demografica non più rinviabile. La perdita costante di popolazione — sfiorando il 10% in un decennio — e l’alto indice di anzianità raccontano di una valle che consuma lentamente il suo futuro. È in questo contesto che l'indagine "THE Young" della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa acquisisce un valore politico centrale, ponendo una domanda scomoda a chi governa il territorio.

Se la notizia confortante è che il 50% degli adolescenti esprime il desiderio di rimanere o tornare, l'allarme, più grave, risiede nel restante 50% che progetta la propria vita altrove. Questo mezzo vuoto non è frutto del caso o del mero desiderio di studiare in città; è la misura di una mancata visione. È la percezione chiara che, a parità di titoli di studio o ambizioni, il Casentino non offre un percorso di crescita personale e professionale attrattivo. 

Oltre la partenza: Il fallimento della prospettiva

I giovani non sono solo alla ricerca di un posto di lavoro, ma di un progetto di vita stimolante. Il Casentino fatica ancora a liberarsi di una narrazione economica superata, che associa il futuro lavorativo prevalentemente ai settori tradizionali, all'agricoltura o all'impiego impiegatizio/operaio.

Va riconosciuto che, proprio nei settori tradizionali, come l'agricoltura e in parte l'enologia, si è assistito a un lodevole riavvicinamento di giovani, spesso votati a piccolissime produzioni di altissima qualità (si pensi ai prodotti IGP e DOP locali). Queste esperienze non sono affatto il "vecchio lavoro", ma rappresentano un'agricoltura specializzata, innovativa e orientata al valore.

Tuttavia, l'errore politico e culturale è nel presentare queste pur meritevoli filiere come l'unica, o la principale, proposta di crescita per una generazione altamente istruita.
La valle non è riuscita a trasformare la sua alta qualità della vita in un vero e proprio vantaggio competitivo per l'attrazione e la ritenzione di una gamma completa di talenti

Per quel 50% che sceglie di partire, il territorio è percepito come un luogo da cui allontanarsi per realizzarsi, non come una base di lancio. È questa la frattura che la classe politica deve ricomporre.

Investimenti politici per il futuro che ritorna

La strategia di risposta deve concentrarsi interamente sui giovani e sulle loro esigenze. Non si tratta di sussidi, ma di investimenti strutturali che dimostrino un cambio di passo decisivo. È vero, la banda ultra-larga sta finalmente arrivando, superando il divario digitale che ci ha frenato negli anni scorsi. Ma la sola infrastruttura non basta; deve essere affiancata da politiche che ne sfruttino il potenziale.

Qui emerge, ad esempio, l’evidenza del Comune di Bibbiena, il centro più popoloso della valle, dove la carenza di spazi stabili di aggregazione e innovazione è lampante. Le esperienze dei giovani sono fortemente limitate: al di là delle meritevoli iniziative locali e delle feste di paese, mancano strutture fisse, inclusive e accessibili in cui formarsi, sviluppare un proprio progetto o semplicemente fare rete.

L'assenza di luoghi protetti e autogestiti incide direttamente sul benessere degli adolescenti. Studi pedagogici e sociologici hanno ampiamente dimostrato come l'accesso a spazi neutri, dove i giovani possono sperimentare l'autonomia e l'iniziativa, sia un fattore cruciale per lo sviluppo dell'identità, della cittadinanza attiva e per la prevenzione di comportamenti a rischio. In Casentino, dove i dati Sant'Anna hanno evidenziato fenomeni di disagio come il consumo di alcol e il gioco d'azzardo tra i minori, la creazione di centri di aggregazione sani e formativi dovrebbe essere un imperativo di salute pubblica.

Parallelamente, l’esigenza di una proposta culturale varia e costante e adatta al target a cui ci stiamo riferendo, alimenta il desiderio di allontanarsi. Non si tratta di importare modelli di grandi città, ma di creare le condizioni affinché la cultura possa nascere dal basso. Manca una piattaforma stabile per l'espressione giovanile, per l'organizzazione di eventi, laboratori artistici e iniziative culturali che superino la sporadicità dell'evento una tantum.

Quello che dobbiamo chiedere ai nostri amministratori è di investire risorse pubbliche per creare un ecosistema favorevole all'innovazione. I Coworking Hubs e i centri creativi, se realizzati - ad esempio - nei centri storici (sfruttando anche il patrimonio immobiliare sfitto), possono portare nuova vita, movimento e un flusso economico costante nei luoghi che più soffrono lo spopolamento. Non sono solo uffici condivisi, ma fucine di idee che permettono ai giovani di lavorare in Casentino mantenendo la connessione con reti e mercati esterni, creando un modello che unisce crescita personale e riqualificazione urbana.

Inoltre, è cruciale indirizzare gli incentivi verso la diversificazione economica. Non basta sostenere ciò che esiste; bisogna favorire la creazione di nuove filiere legate alle eccellenze del territorio che necessitano di figure professionali altamente specializzate e digitali.

La scelta tra sviluppo e abbandono

Il dato del Sant’Anna è un monito: la metà dei nostri giovani ci sta dicendo che le promesse attuali non sono sufficienti. Questo segnale diventa ancora più urgente alla luce della discussione sulla ridefinizione delle aree montane a livello nazionale.

Con una nuova normativa, il rischio concreto è che il Casentino possa subire ulteriori penalizzazioni o che venga inquadrato in un modello che accetta, di fatto, la depopolazione come destino ineluttabile. L'alternativa non può essere l'abbandono. È fondamentale che la classe politica locale faccia sentire la sua voce insieme alla regione e ad Anci, e si faccia portatrice di una visione che insista sulla necessità di rivedere radicalmente lo sviluppo delle aree interne.

La responsabilità della classe dirigente è duplice: da un lato, non sprecare il forte legame con il territorio che ancora spinge il 50% a rimanere; dall'altro, agire con urgenza per creare le condizioni affinché anche la metà che oggi vuole andarsene possa riconsiderare la valle come il luogo ideale per costruire una vita piena di crescita e opportunità.

Il futuro del Casentino non si gioca solo sull’identità, ma sulle prospettive concrete e sulle infrastrutture fisiche e intellettuali che la politica saprà offrire alla sua risorsa più preziosa: i giovani.

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